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Recensione di Lucia Guidorizzi a MINOTAURA


La strada che attraversa il labirinto non conduce a nuove verità, al massimo a nuovi simboli. Nella valle scura non splende il sole, ma a tratti riluce l’aurora. Anche gli dei sono simboli.” Ernst Jungher

Nella pagine intense e folgoranti di “Minotaura”, ci si sente pervasi dal ritmo incalzante col quale si sussegue la narrazione attraverso piccoli quadri-simbolo che adombrano gli enigmi che caratterizzano l’esistenza umana. Leggendole, ci si perde come dentro ad un labirinto di specchi che riflettono la nostra immagine frantumata e moltiplicata migliaia di volte in un continuo gioco di rifrazioni e riflessioni. L’immagine del Labirinto e di tutto quello che dentro di esso vi possiamo trovare è un ‘immagine remota e densa di significati che accompagna l’umanità fin dai suoi primordi. Il labirinto… è uno dei temi più costanti dell’arte rupestre europea dal Mediterraneo sino al Mare del Nord … Fece la sua prima apparizione in Europa nel II millennio a.C. e di lì sembra essersi sparso a est attraverso il Caucaso e l’India… Lo si trova nelle figure funerarie dei popoli pre-indogermanici.” (Alain Daniélou) Il libro di Silvia Favaretto offre un punto di vista completamente nuovo, in cui prosa e poesia si fondono insieme, per celebrare il dramma dell’umano e del disumano, attraverso il mito di Cnosso. Capovolgendo il punto di vista, a tratti in modo spiazzante, Silvia Favaretto indaga sui rapporti ambivalenti tra carnefice e vittima. Come afferma Alain Danielou : Il labirinto evoca sempre i misteri iniziatici, le vie devianti che portano all’illuminazione.”

“Ore ed ore a cercarlo mentre il giorno si faceva notte e la notte giorno. Goffamente perso tra i corridoi, scivolando sulle mattonelle bagnate di rugiada, graffiandosi contro le pietre affilate del muro, al buio, gli si intricava il filo rosso tra le gambe e cadeva per terra stordito. Se non gli avesse dato una mano il Minotauro, Teseo non sarebbe mai uscito da quel labirinto.”

Gli attori di questa tragedia che si consuma in un eterno presente, in cui le categorie spazio-temporali sono state abolite, sono i personaggi del mito che conosciamo che però qui assumono una funzione di specchio che ci permette di entrare con loro in profonda consonanza perché risvegliano quel processo di creatività e di conoscenza interiore che Jung chiama “immaginazione attiva”. Minosse, il re, è colui che esercita il potere e le norme, rigidamente inflessibile nel suo essere portatore di crudeltà e ferocia che non riescono ad essere attraversate e neppure scalfite da alcuna “pietas”, mentre il Minotauro, il Mostro, racchiude in sé la natura vulnerata, esposta e fragile dell’umano che diviene anche veicolo di consapevolezza. Teseo-Torero è l’eroe che vince ed uccide il Minotauro, l’esecutore materiale di questo dramma che si compie sotto il segno di Ananke, ma nel compierlo, Teseo comprende che il vero vincitore è la vittima, in quanto in grado di esprimere la sua umanità e vulnerabilità.

“Minosse era persuaso e tranquillo: bisognava farlo, presto o tardi doveva accadere. Oltretutto non avrebbe sofferto più di un vitello al mattatoio: se il cervello era di toro non si sarebbe nemmeno reso conto che lo stavano facendo fuori. -Si sbaglia – lo rimproverò Teseo- Quando ho alzato il pugnale, il Minotauro ha pianto.”

Ponte e superamento di questa contrapposizione sono Pasifae ed Arianna, emblemi del femminile che desidera assimilare in sé stesso la natura del Mostro, per operare una magica ricomposizione di quell’arcaica frattura che si era operata nell’antichità tra le antiche Dee di luce mediterranee e il mondo eroico e maschile della religione olimpica.

“Quando vennero a prendere il suo figlioletto per rinchiuderlo, Pasifae rifiutò di separarsi da lui. Entrambi vissero una vita felice nel labirinto ed Edipo li avrebbe invidiati.” “Chi lo avrebbe mai detto che io fossi così cattiva? Rise forte Arianna, spalmandosi sui capelli bagnati midollo di Minotauro.”

Il percorso di Silvia Favaretto, che dipana il suo gomitolo d’immagini di grande intensità evocativa, soprattutto dal punto di vista simbolico, è a tratti destabilizzante, perché ci offre punti di vista sempre nuovi su una vicenda collocata nella dimensione del mito, ma che continua ad essere viva ed operante anche nell’immaginario quotidiano. Il Labirinto, luogo iniziatico per eccellenza, contiene tutti i tempi, tutti i luoghi, permettendo ad ognuno di noi di compiere questa esperienza del profondo. Dice Asterione:

“Sarei potuto uscire certo che sarei potuto uscire ma perchè?”

Ma non si può decidere di uscire dal luogo in cui abbiamo deciso di iniziare a perderci, (o a ritrovarci?) possiamo solo continuare a farlo circumambulando in uno spazio-tempo sacro che è quello del mito.

Come afferma Ernst Jungher “Disponendo piccole pietre una sull’altra, si costruisce il labirinto in cui, come in quello di Creta, solo gli iniziati sono in grado di orientarsi.

Le piccole pietre affilate che sono le parole di Silvia Favaretto, edificano l’architettura di questo libro, magico e sapienziale al tempo stesso, offrendo spazi profondamente meditativi sul rapporto vittima-carnefice, sacrificatore-sacrificato. L’eleganza formale della sua scrittura ci rimanda alle pagine della grande letteratura ispanoamericana legata al filone del realismo magico, come quella di Borges, Casares e Cortazar.

La prima parte del libro è caratterizzata da una prosa poetica, che attualizzando il mito di Cnosso, attribuisce alla vicenda elementi di modernità, mentre la seconda parte è strutturata poeticamente. Investigando nei meandri del mito, si scoprono risvolti inaspettati: l’essenza femminile del Minotauro, creatura lunare e sacrificale per eccellenza che subisce emarginazione e segregazione, diviene emblematica per tante donne infelici della storia antica, ma anche della contemporaneità. La violenza e l’emarginazione subita dal Minotauro, isolato all’interno del Labirinto, dichiarato Altro e Diverso dal resto del mondo, sottolineano l’orrore e l’emarginazione irredimibili che accerchiano ogni forma di alterità, offrendo una profonda riflessione sulla storia e sui suoi eterni ritorni.

Mi chiamo Asterione

Venite a dirmi che sono una bestia Mi trascinate Mi rinchiudete Mi isolate Mi date in pasto carne e solitudine Mi uccidete a sangue freddo e mi continuate a chiamare mostro Come dovrei chiamare io voi?

Il prezioso libro di Silvia Favaretto è corredato anche da immagini significative prodotte dalla stessa Autrice che segnano le tappe di questo suo percorso conoscitivo intorno alla figura del Minotauro e in un certo senso integrano e completano le ventitré tappe che, come stazioni della Via Crucis, scandiscono l’erranza all’interno del Labirinto, teatro di un dramma che continuamente si reitera..

La sua grande capacità di concentrare in poche righe eloquenti come in una parabola-enigma tutto il percorso tortuoso dell’esistenza, invita il lettore a riflettere sull’eterna, continua ambivalenza dei sentimenti e dei rapporti umani, rivelando come la natura del Minotauro, con tutta l’aura di terrore, demonizzazione, emarginazione ed isolamento che emana, rispecchi la natura di un Mostro ancora più grande (l’accezione monstrum in latino significa “cosa meravigliosa, essere portentoso, eccezionale sia in senso positivo che negativo, prodigio), ovvero la Donna.

Vittime (femminile plurale)

“Il maschile Minosse evitò il sacrificio Il maschile Dio si vendicò con una marionetta stregata Il maschile Re chiese e ottenne il sacrificio di carne giovane Il maschile eroe entrò nel labirinto e uccise Il maschile trionfatore mi rapì e mi abbandonò come una cosa vecchia. Il mostro segregato nel labirinto deve essere stato femmina, come me.”

Lucia Guidorizzi


apparsa nel blog CARTESENSIBILI

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